martedì 6 ottobre 2009

Estetizzazione della politica, politicizzazione dell’arte

Franco Romanò
Estetizzazione della politica, politicizzazione dell’arte
Conduce il dibattito Dario D’Andrea


Sabato 31 ottobre 2009 – ore 9.15 – 13.00
Ingresso libero
Associazione Culturale Punto Rosso
Via Guglielmo Pepe, 14 - Milano
MM2 Garibaldi)



Negli anni ’30, Walter Benjamin, riflettendo su fascismo e nazismo, notava come una delle caratteristiche dei regimi fosse l’estetizzazione della politica. Non è sempre chiaro cosa Benjamin intendesse con questo processo, allora! Tuttavia, se integriamo le sue intuizioni con quelle contemporanee di Reich in merito ai significati riposti o subliminali della simbologia nazista e della coreografia delle manifestazioni di massa, arriviamo a comprendere l’inizio di un processo che forse è diventato più chiaro per noi oggi, quando la platea mediatica e quella dello spettacolo (come aveva intuito Debord), assorbe una parte consistente dell’attività politica pubblica. Lo scrittore e filosofo tedesco vedeva per la prima volta nella storia moderna un sistema di rapporti fra arte, propaganda politica, mezzi di comunicazione di massa (la radio) che veniva pensato a e pianificato, come mai prima nella storia. Non un fenomeno nuovo in assoluto, naturalmente, ma certamente sì per quanto riguarda le sue dimensioni. Lo stesso però si può dire per gli apparati industriali: basta ricordare il ruolo che i futuristi ebbero nelle campagne pubblicitarie di molte aziende, in primis della Campari, oggi intelligentemente riproposta in uno spot televisivo che allude proprio agli anni ’30 del secolo scorso.
Se dunque l’intuizione di Benjamin rispetto alla politica è di estrema e bruciante attualità, la sua proposta di risposta al processo di estetizzazione della politica e cioè la politicizzazione dell’arte, si è rivelata a dir poco disastrosa. A parte il fervido momento del futurismo russo e della sua interazione con la Rivoluzione d’Ottobre, la politica culturale degli stati socialisti e anche il Manifesto per un’arte libera e indipendente di Breton e Trotszkj, non è stata una risposta minimamente efficace alla estetizzazione della politica (tanto che il processo è diventato macroscopico), ha prodotto a sua volta cattiva propaganda e cattiva arte, spesso all’insegna di una estetica del brutto, come è il caso del realismo socialista.
Il problema, però, si è ulteriormente aggravato nel senso che il processo di estetizzazione della politica si è esteso alla cultura e a ogni aspetto della vita civile. Come rimanerne fuori? Come hanno reagito (se lo hanno fatto) gli artisti e gli scrittori alla piega assunta dalla società occidentale? Ha ragione Christopher Lasch a parlare di società narcisista a tutti i livelli? Che rapporto c’è fra inflazione come fenomeno economico e l’inflazione di cultura che diventa consumismo culturale, cui fa da contraltare la pubblicazione, per esempio, di un numero sterminato di libri che nessuno ha materialmente la possibilità di leggere? Si può parlare anche per l’arte e la cultura di stagflazione e cioè di quel fenomeno per cui esistono contemporaneamente inflazione e stagnazione?



Sabato 31 ottobre 2009 – ore 9.15 – 13.00
Ingresso libero

Associazione Culturale Punto Rosso
Via Guglielmo Pepe, 14 - Milano
MM2 Garibaldi)