venerdì 2 aprile 2010

Memoria e Memorie

Memoria e memorie*

Marina Ricci

Le considerazioni che Primo Levi sviluppa nel suo ultimo libro “I sommersi e i salvati” possono essere considerate un contributo per mostrare alcune interrelazioni fra i processi che concorrono a formare una memoria collettiva, identitaria, e quelli che caratterizzano la memoria individuale, intesa non solo come capacità di ricordare il proprio passato ma come via per la costruzione della propria identità.
Nel lavoro di Levi si può rilevare un approccio alla testimonianza ed ai suoi significati, che trova un parallelismo, o quantomeno delle analogie, con il modo di operare del lavoro psicoanalitico con il singolo individuo.
Sono numerosi i passaggi vicini a idee che sono anche della psicoanalisi.


Come è noto, nel suo primo lavoro di testimonianza sull’internamento nel Lager di Auschwitz “Se questo è un uomo”, Levi rievoca immediatamente dopo la liberazione “sospinto – come egli dice – da un bisogno immediato e violento di raccontare agli altri e di renderli partecipi. Da un impulso di liberazione interiore”.
Fin da allora, egli è stato animato non solo dal desiderio di raccontare i fatti ma anche dalla costante attenzione agli scenari che, a partire da quei tragici avvenimenti, potevano determinarsi per il futuro dell’umanità.
“Se questo è accaduto, se è stato possibile, perché non dovrebbe ripetersi?”
Il suo lavoro successivo, “I sommersi e i salvati”, scritto 40 anni dopo, pubblicato nel 1986, è un breve, tormentato libro di straordinaria intensità. E’ un tentativo di non dare per concluso quanto detto da lui stesso e da altri, consapevole che chiudere avrebbe contribuito al processo, che egli vedeva già in atto, di graduale liquidazione della memoria attraverso la sua collocazione in stereotipi reiterati.
“Non è detto – cito Levi - che le cerimonie e le celebrazioni, i monumenti e le bandiere, siano sempre e dappertutto da deplorare, una certa dose di retorica è forse indispensabile perché il ricordo duri….ma bisogna stare in guardia dalle eccessive semplificazioni”
Fermarsi avrebbe per lui significato confinare la storia del Lager in un passato considerato irripetibile a causa del suo orrore, piegandosi, in qualche modo, al progetto di cancellazione dell’identità e della parola, voluta dal nazismo.
Levi, nell’ultima fase della sua testimonianza, focalizza la sua attenzione sulla complessità: sui meccanismi psicologici che possono condizionare la ricostruzione della memoria nei testimoni e sui comportamenti individuali che il Lager evidenziava alla sua memoria, giungendo ad affrontare il tema della responsabilità morale dell’uomo anche oltre l’esperienza della deportazione e dello sterminio.

*Relazione presentata al seminario in collaborazione fra ISEC (Istituto di storia dell’età contemporanea) e SPC sul tema:
Memoria e testimonianza come componenti dell’ identità personale e collettiva. Sesto san Giovanni 27 febbraio 2010
Individua due tendenze che concorrono a modificare la memoria della complessità degli eventi, riducendone la portata, e che riguardano sia i testimoni che i destinatari delle loro memorie.

Esse sono rappresentate da:
processi di distorsione del ricordo
processi di semplificazione.

I primi, sono dovuti, in parte, all’oblio causato dal fisiologico passar del tempo ed in altra parte, cospicua, alle modificazioni ed alle rimozioni del ricordo, presenti in ogni caso, ma in modo particolare attorno a vicende di gravi offese inflitte o subite.( Meccanismi questi ben noti a psicologi e psicoanalisti). La vittima può rimuovere il ricordo di eventi perchè troppo dolorosi, essere sopraffatta dalla vergogna per il torto subito e trasformarlo in un ricordo più accettabile (Vedi il compagno, lucido e intransigente, Alberto D., che dopo aver visto sparire il padre, passato alle camere a gas, dirà che questo probabilmente era stato trasferito in altro campo, ad altro lavoro….).
L’oppressore, per allontanare da sé le responsabilità ed il senso di colpa, può costruirsi degli alibi, giustificazioni e scenari inventati che finiscono per delineare una nuova versione, assolutamente falsa, presentata nella presunzione di buona fede. ( Vedi la confessione di Rudolph Hoss, penultimo comandante del campo di Auschwitz, sottilmente convincente e frutto di palese manipolazione).
Il discrimine fra buona e mala fede è molto sottile
“Tenere distinte la buona e la mala fede è costoso: richiede una profonda sincerità con sé stessi, esige uno sforzo continuo intellettuale e morale” .
Il bisogno di semplificazione è connaturato all’uomo, è giustificato dalla necessità di creare ordine nella confusione, tende a istituire spartizioni nette e si applica anche alla storia quando in essa prevale la tendenza alla bipartizione fra “amico e nemico”, “noi e loro”.
“In chi legge (o scrive) la storia dei Lager è evidente la tendenza, anzi il bisogno,di dividere il male dal bene, di poter parteggiare, di collocare di qua i giusti e di là i reprobi” (I sommersi e i salvati, p.25).
Nel caso del Lager, produrre una spartizione manichea equivale, secondo Levi, a iscriverne la storia in un evento anomalo, esorbitante dalla natura umana, mentre Levi ci dimostra come questo non sia.
Nel Lager, l’universo umano non era nettamente distinguibile nei due blocchi delle vittime e dei persecutori, “solo la retorica può pensare che questo spazio sia vuoto”

Levi sviluppa il concetto di zona grigia.
Nel Lager il male era fuori ma era anche dentro. Il male dentro nasceva nei comportamenti colpevolmente o innocentemente confusi con il potere oppressivo e da questi generati ( I primi colpi venivano inferti ai nuovi arrivati dai Kapò che erano essi stessi prigionieri).
La zona grigia è la classe dei funzionari-prigionieri che congiunge e separa padroni e servi e confonde la possibilità di giudicare
A livello generale il privilegio e la sua pervasività.
Area di ambiguità e collusione che non consente di demonizzare i colpevoli e di beatificare le vittime.
Area che consente di cogliere facce della natura umana , insospettate, che si possono presentare quando ne sia data l’occasione.
Comprende anche di vedere gli effetti del potere nel rendere il soggetto corresponsabile del proprio progetto e corruttibile
Ma, espande il discorso Levi, è la zona presente nelle relazioni umane dove il bene e il male si confondono e non è possibile fare spartizioni manichee.

In sostanza, Levi coglie come “la zona grigia” sia non solo una questione esterna ma anche appartenente al mondo interno dell’individuo.
Questa è una idea che appartiene specificamente alla psicoanalisi.
La psicoanalisi si fonda sull’idea dell’esistenza, nel soggetto, di istanze fra di loro in conflitto che creano dinamiche complesse, sull’esistenza di pulsioni libidiche e di pulsioni aggressive ,di bene e di male e, “la cui azione comune o contrastante, consente di spiegare i fenomeni della vita”.
Nel suo lavoro del 1929 “Il disagio della civiltà” Freud , a conclusione del percorso di analisi delle pulsioni agenti nell’individuo, giunge ad esprimersi chiaramente circa l’esistenza nell’uomo di una “tendenza aggressiva come disposizione pulsionale originaria e indipendente” e la individua come l’ostacolo principale all’evoluzione della civiltà
La civiltà non evolve spontaneamente verso il bene, non è quella la sua tendenza di sviluppo naturale, ma si afferma solo attraverso la capacità che gli uomini hanno,oppure non hanno, di contenere le spinte distruttive in sé stessi e, attraverso le forme dell’ organizzazione civile, il loro prevalere nel sociale.

Due sogni, raccontati in seduta da due diversi pazienti, possono rendere evidente l’assetto di queste forze nell’inconscio individuale.
Il primo appartiene ad un uomo, già nel cuore dell’età matura, e non è stato raccolto direttamente da me ma pubblicato in uno scritto di Adriano Voltolin, titolato “Il male e la sua ripetizione”; il secondo appartiene invece ad una giovane donna, mia paziente, giunta al termine della sua analisi.
I due soggetti sono accomunati da sofferenze di tipo depressivo, pertanto esposti a vissuti di dolore mentale e da una condizione esistenziale che convive con la presenza del “male”

Primo sogno
Primo sogno
C’è una città a forma rettangolare che ne contiene un’altra, più piccola, pure rettangolare. Il perimetro e le mura della città esterna la indicano come il luogo della socialità e del vivere civile.
La città più interna è presidiata interamente da quindici soldati: è un luogo protetto perché vi si custodisce, in gran segreto, il male. E’ il luogo del male e dell’orrore.
La zona delimitata dalle mura è costituita da testi scritti come le pagine stampate dei giornali, uno spazio quindi per intero occupato dalla trama della scrittura. A nascondere ancora di più il male, il testo della città interna è in verità fotografato come lo sono i testi scannerizzati. Si tratta quindi non di un vero testo, come parrebbe, ma solo di una immagine. In tal modo ciò che appare scritto non ha alcun significato compensibile.
Il male è confinato nella città più interna . Offuscato dalla stampa scannerizzata che non consente un significato comprensibile è una zona opaca e non chiaramente discernibile.
All’esterno, invece, la città appare come il luogo ove si svolge, in modo apparentemente armonioso, la vita degli individui associati.Male e bene non sono contrapposti l’uno all’altro, ma il male è collocato all’interno del bene ed il bene ha quasi la funzione di mimetizzarlo. Il male è collocato in una posizione interna rispetto al bene e ne costituisce la parte più intima (Val la pena di ricordare che Freud, nel suo lavoro del 1915 “Pulsioni e loro destini” individua la componemte distruttiva come preesistente nella ormazione psichica dell’individuo).
Il male deve essere presidiato, tenuto a bada da 15 soldati, militarmente contenuto, perché non invada lo spazio del bene, distruggendolo.

Secondo sogno

La paziente osserva un paesaggio arioso e luminoso, in una sfolgorante giornata di sole. In una montagna che sorge dal mare ha sede una città dalle costruzioni nitide e ben stagliate, sulla cima vi è la “cittadella”, sede dei luoghi del vivere civile. La struttura di questi edifici evoca alla paziente una architettura mista fra la rocca del Partenone in Atene e le cittadelle fortificate medioevali e rimanda, nel suo vissuto, a luoghi dell’ infanzia ricordati come ordinati e rassicuranti.
Più in basso la città si articola in strade e case dove si svolge una operosa attività
degli abitanti.
La paziente osserva il quadro da una posizione sopraelevata, traendone un senso di pace e di serena progressione costruttiva.
Improvvisamente, dal mare calmo e scintillante, si alza un’ondata enorme e, con spavento, la paziente vede, dalla sua posizione protetta, il frangente abbattersi sulla città sommergendola tutta in un vortice. Il sentimento da cui si sente invadere non è tanto di terrore per sé stessa, per la propria incolumità e nemmeno di angoscia disperata per l’evento disastroso (esperienze di sofferenza personale che furono al centro della sua analisi per molti anni), ma di profondo dolore per l’ineluttabile scomparsa di tanta armonia e laboriosità e per la propria impotenza nel tentare di salvaguardare quel bene.
L’ondata, tuttavia, sviluppata la sua forza, lentamente rifluisce nel mare che gradatamente torna ad acquietarsi. Emerge infine solo la parte alta della città, la “cittadella” che si palesa indenne e torna ad essere “così come era prima”.
La paziente pensa con dolore e pietà a quanti sono morti, nella parte bassa della montagna, e soprattutto al valore del loro lavoro quotidiano improvvisamente stroncato, ma guarda con fiducia alla cittadella riemersa,dicendo a sé stessa “coraggio, da lì bisognerà ripartire” .


Il sogno indica, sostanzialmente, nell’esperienza psichica della paziente, la possibilità di un contenimento del male da parte del bene. Designa anche la coesistenza, nel mondo interno, del bene e del male, dove il bene non si fonda su una consistenza idealizzata (la perfetta, luminosa armonia nella città) ma, sotto la minaccia continua alla propria sopravvivenza, si afferma mediante una faticosa riduzione degli effetti del male grazie al “buon governo” delle proprie pulsioni.
E’ solo l’elaborazione del male che può contenerne la distruttività.
E’ noto che, nella psicoanalisi kleiniana, il superamento della distruttività è legato alla capacità di tollerare il pericolo di investire con la propria aggressività anche le parti buone dell’oggetto. Proprio su questa tolleranza si erige infatti la riparatività che è fondamento della posizione depressiva.

Trovo significativo che in tutti e due i sogni, espressione di soggetti diversi ma entrambi impegnati in un lavoro analitico, compaia la città nelle sue arcaiche forme di convivenza civile (a pianta quadrangolare l’una, che evoca la base della città romana; cittadella greco-medioevale l’altra). La città, può essere assunta come la simbolizzazione di un soggetto che attua un lavoro attorno alla propria identità, un lavoro di separazione e di differenziazione da rappresentazioni idealizzate e, in quanto tali assolute e indistinguibili come lo sono le grandi categorie del bene e del male. Tale è il lavoro della psicoanalisi che non modifica la realtà esterna, non fornisce soluzioni pacificanti, buone una volta per tutte ma ricerca i propri, individuali modi di ricostruire la propria identità e la soggettiva memoria di sé.

E qui vedo l’analogia o quantomeno la prossimità fra il come Levi ha affrontato le questioni della memoria degli eventi tragici che ha vissuto e come lavora la psicoanalisi con il soggetto.
Levi ci mette in guardia di fronte alle semplificazioni, alle spartizioni pacificanti, alla beatificazione del testimone. Invita a ricercare nelle pieghe e nelle sfaccettature dei fatti perché possano essere individuati i rischi di ripetizione e di distorsioni rese inconsapevoli, affinchè la memoria storica sia memoria preventiva per il futuro. La sua drammatica esperienza, ripensata ed incessantemente rivisitata, lo ha reso consapevole che l’uomo non è una entità semplice e soprattutto non è votato, per sua intima natura, al conseguimento del bene.
Così la psicoanalisi lavora sul passato dell’individuo, perché questo possa essere rivisitato nelle zone d’ombra, nelle rimozioni, nel suo ripresentarsi attraverso la ripetizione nel sintomo.

In un suo recente lavoro, di prossima pubblicazione sulla rivista “Costruzioni Psicoanalitiche”, la psicoanalista argentina Maria Cristina Bacchetta , segue un filo conduttore vicino a quello che le riflessioni esposte indicano, nell’affrontare la denegazione della memoria circa il periodo della dittatura militare in Argentina.
Si chiede se non sia possibile pensare agli avvenimenti storici come si pensa alla storicizzazione del soggetto in analisi.